Nella mia precedente analisi del voto ho tentato di delineare il profilo dell'attuale situazione politica alla luce dei risultati elettorali, proponendo alcuni dei possibili scenari di (in)governabilità. Questo articolo invece lo dedico alle mie riflessioni sui partiti e su cosa ha portato a questa situazione.
Un nuovo mondo...
Quello che si sta per presentare agli italiani è un parlamento nuovo, non solo perché vi entreranno i 162 esordienti del M5S, ma anche e soprattutto perché non vi entreranno volti noti della politica degli ultimi anni: Paola Binetti, Amedeo Laboccetta, Lorenzo Cesa, Gianfranco Fini, Mario Sechi, Anna Paola Concia, Italo Bocchino, Rocco Buttiglione, Antonio Di Pietro. Esclusi eccellenti della legislatura che verrà.
Una legislatura che, indipendentemente da quanto durerà, è già storica di suo. Per la prima volta, e forse ancor più rispetto ai tempi di Tangentopoli, il successo strepitoso del M5S potrebbe aver scosso e riportato con i piedi per terra i partiti tradizionali e i rispettivi leader. Tutti dovranno inevitabilmente interrogarsi su leadership, programmi, svecchiamento della classe dirigente e, soprattutto, sulla necessità di ritrovare un legame con il comune cittadino imponendo finalmente una nuova etica nel modo di fare politica. L'unica alternativa potrebbe essere, come urla Grillo, la loro estinzione dallo scenario politico che conta.
Le mie riflessioni sui partiti… e sui risultati
Nessuno può essere rimasto indifferente nel guardare i risultati alla chiusura dello spoglio. Tutti sapevano già tre settimane fa che la coalizione di Bersani stava perdendo consensi, così come quella guidata da Monti, in controtendenza rispetto alle compagini di Berlusconi e Grillo, date in rimonta. Chi, però, avrebbe scommesso su un finale al foto-finish tra Bersani e Berlusconi? E chi sul boom del M5S?
Il come siamo arrivati a questi risultati è dipeso da molti fattori. Di seguito, una coalizione alla volta, secondo l’ordine di arrivo alla Camera, mi concentrerò su quelli che ho reputato maggiormente determinanti.
Centrosinistra (Pd-Sel-altri csx). Quella del Centrosinistra può senza ombra di dubbio definirsi una campagna elettorale fallimentare. Dopo aver bruciato almeno sette punti percentuali di vantaggio rispetto al centrodestra, il duo Bersani-Vendola è riuscito a sbagliare l’impossibile. E pensare che ai tempi delle primarie per la scelta del candidato premier, il centrosinistra era riuscito a portare al voto oltre tre milioni di italiani pieni di speranza. Poi ci si è seduti sugli allori. In seguito, lo scandalo MPS e l’associazione tra i vertici della banca e la classe politica di sinistra della città toscana hanno fatto il resto. Alla fine, il gong che ha sancito la fine della campagna elettorale ci ha lasciati con una campagna scialba, timida, senza il “coltello tra i denti.” Condizionata in negativo, forse anche troppo, dall’esperienza accanto al Pdl in sostegno del governo Monti. Tanto scialba da aver perso molti elettori a favore del M5S.
Centrodestra (Pdl-Lega-altri cdx). Il miracolo della rimonta del centrodestra non è sicuramente merito di Alfano, né di Maroni o di Bossi. E’ tutto di Berlusconi. Una rimonta così sorprendente tanto da imbarazzarmi; tanto da costringermi a fare i salti mortali per giustificare agli occhi dei miei colleghi tedeschi e americani il voto di fiducia per l'uomo che, a mio avviso, ha rovinato il centrodestra italiano, disattendendo le speranze di milioni di italiani. Dati alla mano, mi chiedo se al recupero di consensi abbia influito più la sua presenza oppure la promessa di restituire l'IMU. Un altro errore è stato quello di ghettizzare i partiti minori, anche della sua stessa coalizione, perdendo forse così quello 0,5% di elettori che avrebbe permesso al centrodestra di vincere alla Camera. In particolare mi riferisco a Fratelli d'Italia, partito nato per promuovere un modo di fare politica e di rappresentare i valori della destra diversi dal modello Berlusconiano e sul quale pongo particolare fiducia. Per concludere, quello che penso di Berlusconi l'ho già scritto in un altro articolo del mio blog ma ci tengo a ribadire un concetto: in nessun'altra democrazia occidentale un politico che ha avuto le sue opportunità di leadership e così tanti problemi con la Magistratura (che siano una forma di persecuzione o meno), avrebbe avuto il coraggio di ripresentarsi in una competizione elettorale. Non solo, i suoi colleghi di partito e gli stessi elettori non glielo avrebbero permesso.
Beppe Grillo (e Movimento 5 Stelle). Il vero vincitore di queste elezioni è lui, Beppe Grillo. Cito intenzionalmente lui e non il movimento da lui guidato perché, fino a prova contraria, la campagna elettorale l'ha fatta in solitario. Sue le grida, suoi gli sproloqui, i monologhi e gli show che hanno convinto più di otto milioni di italiani a dare il voto al movimento. Se di protesta lo verificheremo col tempo. È chiaro però che questi voti il M5S li ha sottratti alla sinistra che comunque rimane l'area politica di riferimento di molti dei suoi elettori e attivisti. Una campagna dura, quella di Grillo, fatta di accuse e promesse, costruita alimentando la rabbia degli italiani, giustamente stanchi di una classe politica incapace di ascoltare o di vedere. Una campagna in cui è stato abile e scaltro nel giocare a gatto e al topo con la tv, facendosi rincorrere e desiderare dalle emittenti che hanno finito col parlare di lui tanto quanto degli altri leader. L'unico forse ad essere discusso dai media senza aver praticamente partecipato ad uno show televisivo o ad una tribuna politica. Vincendo con un non-programma fatto di 20 punti tanto innovativi nei principi quanto, per quel che mi riguarda, vaghi nella loro fattibilità. Alla fine porta a casa un risultato storico inserendo 162 nuovi parlamentari che ora dovranno dimostrare di essere anche capaci di governare e di navigare in un mare nuovo, diverso dai tradizionali meetup. Ad oggi, gli eletti del M5S hanno sempre fatto seguito alle promesse di ridursi lo stipendio e di autofinanziarsi ma il governo di un paese è più di questo. Lo sa Pizzarotti, sindaco di Parma, che non basta andare in ufficio in bicicletta per meritarsi la fiducia dei cittadini. Quando fu eletto il 21 maggio scorso, lo votarono al ballottaggio il 60,22% dei parmensi. Nella stessa città, lo scorso fine settimana, ha votato M5S solo il 28,16% degli elettori. C'è comunque da riconoscere a Beppe Grillo di aver condotto la campagna elettorale forse più dinamica.
Come molti hanno osservato, quella di Monti è stata la coalizione che più di tutte è sembrata disunita. Effettivamente è difficile trovare sul web una foto di gruppo con Monti, Fini e Casini. Alla fine Monti, il candidato considerato più affidabile dalla comunità internazionale, ha chiuso la sua prima (e forse ultima?) campagna elettorale con un forte passivo in termini di consensi portando a casa un risultato che pone i suoi gruppi alla Camera e al Senato in una posizione pressoché irrilevante.
L'ultima riflessione la dedico al rapporto tra media e politici. Che ci siano in Italia testate politicizzate e di parte è risaputo quindi tanto vale non lamentarsi più di tanto. Alla fine uno può scegliere di leggersi le notizie attingendo da più fonti in modo da formare la propria opinione partendo da diversi punti di vista. La fonte principale per sapere cosa pensa un candidato su un certo tema o come intende realizzare il proprio programma rimane lo stesso candidato. Meglio ancora se il candidato possa confrontarsi con gli altri candidati. Il confronto delle idee, secondo me, deve essere alla base dell'informazione in una sfida elettorale. In questa campagna abbiamo assistito molto spesso a due fenomeni: quello dei giornalisti accomodanti e compiacenti, e quello del rifiuto del confronto da parte dei candidati. Il secondo, a mio parere, più grave del primo perché non ha permesso agli elettori di passare le promesse dei candidati al vaglio del contraddittorio. Questo è un atteggiamento che deve assolutamente cambiare. I politici non possono più fuggire dalla richiesta dei cittadini di sottoporsi alle domande dei media o di confrontarsi con i loro avversari politici.
In conclusione, la "vecchia" politica sembra essere arrivata davvero ad un punto di non ritorno, anche e soprattutto grazie all'exploit del M5S. Ora sta ai partiti tradizionali, da una parte, dimostrare di aver imparato la lezione e di poter offrire un rinnovato stile di fare politica, più etica e a misura di cittadino. Al M5S il compito di dimostrare di non essere il partito di Grillo e di saper costruire su ciò che c'è di buono, piuttosto che fare tabula rasa e ricostruire sulle macerie.
In poche parole, c'è bisogno di un ritorno alla normalità, sia nel linguaggio sia nei modi di fare politica.
Nell'interesse dei cittadini, tutti.