Giovanni Favia in Assemblea legislativa (Gianluca Perticoni/Eikon studio) dal sito Repubblica.it |
“Il giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a viaggi, regali, facilitazioni o prebende, da privati o da enti pubblici, che possano condizionare il suo lavoro e l'attività redazionale o ledere la sua credibilità e dignità professionale”, così recita la Carta dei doveri del giornalista dell’8 luglio 1993, sotto la voce “incompatibilità.”
Ora mi chiedo, quanto credibile può essere un servizio o un articolo risultante da un accordo economico? Con quale oggettività un giornalista può riportare fatti e analisi quando colui che intervista lo ha pagato anticipatamente per farlo? Si possono fare domande “scomode”? Oppure viene tutto concordato in modo che il messaggio arrivi ai destinatari secondo i desideri del committente? Insomma, in Italia di cosa stiamo parlando, di vera informazione o pubblicità?
In un momento storico come questo, l’Italia di tutto ha bisogno tranne che di un’opinione pubblica più debole e facilmente condizionabile di quanto non lo sia già. C’è sempre più bisogno di un’informazione libera, oggettiva, critica e bilanciata. Soltanto così il cittadino sarà messo in condizione di riappropriarsi davvero di quella Sovranità che reclama e che è un suo diritto-dovere esercitare.